venerdì 18 novembre 2011

passi in punta di velo scivolati




passi in punta di velo scivolati
a parole racchiuse da angoli acuti
riflessi cangianti di ciprie dorate
in ciglia ombrate da nero mascara

le mani in guizzi di polso girate
sfiorano tenera pelle in incavo 
di spalle sfuggenti a nudi pensieri
distesi in sfatte lenzuola di lino 

grezza tela strofina le guance
setate di un viso bambina
le stringe , le veste di rose e profumi
le avvolge  in suoni di nenie infantili

martedì 15 novembre 2011

Immaginazione migrante


A chi leggerà questo post  dico che quanto scrivo è  solo frutto della mia immaginazione ed ad  essa attribuibile e quindi assolutamente opinabile.
Credo che l'immaginazione abbia fatto negli  ultimi anni un salto di qualità anche per  merito del linguaggio globale, di Internet e  della pratica del blog e che sia diventata cioè  appannaggio di una collettività sempre piu'  ampia che esprime attraverso essa un  comune sentire.


***L’immaginazione nel mondo post-elettronico  ha abbandonato i territori tipici in cui ha  sempre abitato, come, ad esempio, quelli  dell’arte, del mito e del rito, per entrare a  far parte del lavoro quotidiano della gente comune in molte società*** (Arjun Appadurai,  Modernità in polvere , 2001).


Io mi considero "migrante" per vita, per  lavoro,  per desiderio e gli incontri  significativi del mio vivere sono avvenuti  sia con persone, sia con parole, ma  soprattutto con immagini, che ho raccolto,  coltivato, innaffiato ogni giorno e riletto,  riscritto attraverso l'immaginazione ed il  ricordo.
Questo modo di raccontarmi la vita fatto di colori, di segni,  di parole sottaciute è  anche il mio modo di essere blog. 


Se ci si guarda attorno sui muri di New York  si ha la netta percezione di come i graffiti  rappresentino una immaginazione collettiva e  migrante, capace di coinvolgere interi gruppi  e mescolarsi insieme attraverso l'uso di una  creatività visiva straordinaria.
Le migrazioni di individui e conseguentemente  di culture ha favorito questo comune sentire,
Arjun Appadurai, ci racconta di modernity at  large, di una nuova modalità di  comunicazione che lui individua in una interconnessione tra  media elettronici e migrazioni sociali.


I blog io credo siano  parte integrante di questa modernità  diffusa, di questo sentire diversamente la  comunicazione. Ciò  che caratterizza il blog, in maniera  sempre piu' forte è l'immagine,  la parola da sempre ha caratterizzato la  comunicazione,  l'immagine meno, essa era  demandata agli addetti ai lavori, ora  diventa patrimonio di tutti e si avvale  dell'immaginazione per prendere forma, per  vivere e per migrare da uno spazio ad un  altro e per raccogliere attorno a sè un  popolo di "migranti".

venerdì 11 novembre 2011

le donne hanno cappotti pesanti


fotografia a specchio

le donne hanno cappotti pesanti
come i loro pensieri

si guardano nello specchio
un foglio di vetro riflettente
all'interno di una cornice di legno di noce
agitano le mani a scacciare un ricciolo
sulla fronte, a colorare di rosso 
pallide labbra, a rigare di nero
occhi verdi, azzurri nocciola

domani dimentiche del viso di ieri
ripeteranno il ricordo dei gesti allo specchio

le donne hanno scaffali d'avorio
con mucchi di carte, fogli bianchi
da scrivere e lettere d'amore
consumate, da ricordare

le donne hanno bisogno di un fantasma
per controllare i loro abiti mondani
quelli delle partenze da un lato
quelli degli arrivi dall'altro

i fantasmi sono onesti, silenziosi
spalmano le pareti di anima
ombre senza testa, uccelli erranti
non occupano spazio e tempo

le donne mettono la carta 
sotto il pollo fritto
per conservare puliti i piatti

le donne tolgono la chiave
alla loro tastiera, e spostano il mouse
sopra la loro pelle ferita 

dai pixels erranti dell'ultimo amante.

depose una perla all'angolo del suo labbro




depose una perla all'angolo del suo labbro
e nei capelli di lei germogliarono parole
sulla scia di una linea sottile
inumidita dalle note leggere ritmate
a pelle callosa di un rosso tamburo

amanti distesi in spiagge di anni 
emergono da maree cineree
di un oceano metronomo di naufraghi
e nella cavità di schiume rovesciate nel tempo
una mano a carezza di pelle 
sfiora marmi d'avorio levigati